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Prima di tutto rafforzare la sorveglianza e la macchina organizzativa

Michele Gangemi – Presidente Associazione culturale pediatri
Luisella Grandori - Responsabile prevenzione vaccinale, Associazione culturale pediatri


 
Dall’interessante discussione che si sta svolgendo su EpiCentro sul vaccino antimeningococco C, per la quale ringraziamo i promotori, appare evidente la grande complessità e la conseguente variabilità delle valutazioni riguardo alle strategie possibili per questo ed altri nuovi vaccini oggi disponibili. Del resto lo stesso si riscontra nella letteratura internazionale. Non vi è dubbio che in Europa si stia modificando l’epidemiologia del meningococco che ritorna inspiegabilmente verso il tipo C. L’ondata epidemica che ha percorso il nostro continente, a partire dal Regno Unito nel 1999 per poi passare all’Olanda, al Belgio, all’Ucraina, alla Spagna è arrivata fino al sud della Francia alla fine del 2002, molto vicino a noi. Ma per ora in Italia assistiamo solo a un aumento relativo di C e, fortunatamente, a nessuna epidemia. È però impossibile prevedere un cambiamento in tal senso e per fortuna il vaccino è già disponibile. Forse sarebbe stato utile disporre da subito di un’indicazione nazionale (criteri per la scelta strategica), perchè se è vero, come dice Lizioli, che la vaccinologia è cambiata – anche a noi sembra così, ma nel senso che è diventata più complessa - ci auguriamo che non siano cambiate le regole per decidere in tale materia, che si basano essenzialmente sulle valutazioni epidemiologiche e di impatto della vaccinazione. Concordiamo sul fatto che l’informazione delle famiglie costituisca un problema di primaria importanza. Oggi le informazioni che i genitori ricevono sono contrastanti e questo crea confusione. I mezzi di comunicazione amplificano a dismisura l’allarme, spesso basandosi su dati di fantasia o posti in modo distorto, invece di informare correttamente. È difficile fare buona informazione in queste condizioni. È difficile svolgere il proprio lavoro con serenità in mezzo a tanta confusione.
 
Non crediamo però che nel terzo millennio né mai, il compito di chiunque sia quello di seminare certezze a tutti i costi anche dove queste non ci sono. Al contrario crediamo che il lavoro del medico sia proprio educare alla complessità della realtà che ha ben poche certezze se non quella di un’onesta trasmissione delle informazioni affidabili disponibili. Va dato atto all’Iss dell’ottimo lavoro di monitoraggio fatto in questi ultimi anni sulle meningiti batteriche che ci permette di disporre di dati elaborati e valutati in modo professionale e affidabile. Il problema è che i dati che arrivano all’Iss sono molto lacunosi, che molte aree del paese stentano ad inviarli, che manca l’identificazione eziologica di molte (troppe) meningiti batteriche (20%!) e mancano le segnalazioni di altre forme invasive. Per non parlare della tipizzazione. Quanti pneumococchi vengono tipizzati? Il lavoro di Pantosti sul CJD [1] parla di un invio di campioni solo in 1/3 dei casi segnalati e viene il dubbio che la distribuzione non sia neppure rappresentativa della situazione nazionale vista la provenienza concentrata in poche realtà territoriali. Tutto ciò crea inevitabilmente una difficoltà ai pediatri nell’informare e nei decisori a stabilire le strategie.
 
Il pediatra, oltre a chiare indicazioni nazionali, avrebbe bisogno di conoscere la situazione riguardo alle meningiti del territorio nel quale lavora - almeno a livello regionale, ma meglio di Asl - per valutare quale rischio corrano i bambini di cui si prende cura e trasmettere queste informazioni ai genitori. Senza una sorveglianza accurata, che dipende da quanti e quali dati vengono inviati e non da chi li elabora come abbiamo già detto, in Italia vaccinare contro le infezioni invasive batteriche diventa quasi un azzardo, un intervento alla cieca. I sierogruppi circolanti di meningococco (così come pneumococco e Hib) andrebbero monitorati prima, durante e dopo la vaccinazione, specie se essa deve essere estesa. Il riscontro in Scozia di un aumento di mortalità per meningocco B [2] e di un ceppo B particolarmente virulento in Spagna [3], dopo vaccinazione estesa con il tipo C, rendono conto di questa necessità. Per non parlare del rimpiazzo dei sierotipi di pneumococco registrato dopo vaccinazione universale [4,5]. Anche l’Haemophilus influenzae dovrebbe essere soggetto ad attenta sorveglianza. Ma quali e quanti dati arrivano all’Iss? E come? Anche per Hib, quanti possono essere tipizzati? Nel resto del mondo evoluto tutto questo si fa, ci sembra la base su cui poggia la moderna vaccinologia, vorremmo che accadesse anche da noi.
 
Un altro problema che ci pare trascurato è la difficile tenuta dei servizi di fronte all’aumento improvviso e consistente delle sedute vaccinali richieste da eventuali nuove strategie. Ci sono tutte le altre vaccinazioni da assicurare, ancora non abbiamo indicazioni certe sulla possibilità di cosomministrazione di alcuni vaccini. A nostro parere si dovrebbero progettare con urgenza sistemi organizzativi che consentano di vaccinare in serenità e sicurezza, non certo affrettando i tempi o inventando improponibili associazioni. Non ci pare neppure condivisibile che si vaccini fuori dal controllo di un sistema che armonizzi gli interventi, monitori le coperture, faccia valutazioni. Per concludere, ciò che l’ACP vede più urgente è il rafforzamento dei sistemi di sorveglianza e degli aspetti organizzativi e di coordinamento. Ci sembra che senza queste azioni, il disagio dei pediatri, delle famiglie e dei servizi vaccinali crescerà e avrà una ricaduta negativa sull’adesione alle vaccinazioni e, in ultima analisi, sulla salute dei bambini.

 


L’offerta della vaccinazione contro il Meningococco C: quali priorità e quali obiettivi?
 
Renato Pizzuti – O.E.R. Campania, Napoli

 
Sappiamo che in Italia l’incidenza delle meningiti da Neisseria meningitidis è circa un terzo di quella europea e che il numero complessivo di casi verificatisi ogni anno, negli ultimi 10 anni, è di poco superiore a 200. Tuttavia variazioni annuali non trascurabili, una certa disomogeneità di incidenza interregionale, la maggiore incidenza in età infantile, la gravità della malattia che presenta una letalità di circa il 10%, l’aumento relativo di casi riferibili a Meningococco C rispetto a quello B, la disponibilità di un vaccino sicuro e efficace contro il Meningococco C, rendono problematiche le decisioni relative all’adozione di una strategia nazionale di offerta vaccinale condivisa dalle diverse regioni.
In Italia, l’introduzione sul mercato di nuovi vaccini di elevata sicurezza ed efficacia si è immediatamente confrontata con le recenti modifiche del titolo V della costituzione, che vedono le Regioni titolari dei poteri legislativi in materia sanitaria, pur nell’ambito dei principi fondamentali fissati da norme statali. Inoltre, con il D.P.C.M. 29/11/2001 “Definizione dei L.E.A.”, le vaccinazioni obbligatorie e raccomandate sono state inserite tra le prestazioni da garantire a tutti i cittadini. In questa situazione, in mancanza di orientamenti nazionali specifici, alcune regioni hanno emesso direttive per definire programmi per l’adozione di alcuni nuovi vaccini. In particolare il Veneto, la Toscana, il Molise e la Campania hanno introdotto la possibilità di offerta di vaccinazione anti-meningococco C attraverso la compartecipazione alla spesa, mentre tra le Regioni che ne hanno adottato l’offerta universale, la Puglia e la Basilicata la offrono nel secondo anno di vita e la Calabria ai nuovi nati.


Se si vuole evitare che per le attività vaccinali si assista a comportamenti regionali fortemente differenziati, compromettendo l’efficacia dei programmi stessi e non garantendo pari diritti a tutti i cittadini, la programmazione nazionale non può fare a meno di definire alcuni punti cruciali:
 
· 1 è fortemente sentita la necessità di fissare regole condivise di definizione di priorità, per stabilire quali sono i criteri da seguire a qualunque livello per prendere decisioni su come utilizzare le risorse disponibili, e quindi su cosa fare prima e secondo quali modalità;


· 2 è necessario definire, oltre alla tipologia delle prestazioni a cui i cittadini hanno diritto, le “quantità” di prestazioni che garantiscono la comunità rispetto ad obiettivi di salute, al di sotto delle quali le azioni sono inefficaci a livello di popolazione e quindi non economiche per lo stato.
 
Quest’ultimo aspetto appare al momento particolarmente delicato e, oltre alle vaccinazioni, riguarda anche altre attività di prevenzione come gli screening oncologici che non vedono giustificazione se non nell’ambito di programmi che assicurino “coperture” di popolazione adeguate.
Sarebbe ad esempio opportuno cercare di “legare” gli obiettivi della Pianificazione Sanitaria Nazionale ai LEA della prevenzione, nel senso di “premiare” i livelli di copertura programmati, se raggiunti, con quote di finanziamento che vadano ad integrare il 5% destinato alle funzioni di assistenza sanitaria collettiva (che vadano quindi a coprire le spese di organizzazione dei programmi, valore aggiunto che trasforma una prestazione individuale in un vantaggio collettivo). Appare evidente sottolineare in quest’ottica il valore dei sistemi informativi capaci di documentare le coperture raggiunte, siano essi sistemi correnti di governo (attualmente oggetto di attenzione del progetto Mattoni del Ministero della Salute) come le anagrafi vaccinali, sia le indagini campionarie come ICONA, in ogni caso responsabilizzando a livello aziendale i Dipartimenti di Prevenzione per la funzione di monitoraggio.
Rispetto alla vaccinazione anti-meningococco C, i dati di incidenza della malattia e delle sue complicanze, confrontati con quelli di frequenza di eventi avversi attesi, la disponibilità di un vaccino sicuro ed efficace sembrano suggerire soluzioni che non pongono l’adozione universale della vaccinazione come misura prioritaria di sanità pubblica, ma che contemporaneamente garantiscano la corretta informazione alla popolazione sulla malattia e sulle possibilità di prevenirla, nonché prevedano la disponibilità del vaccino offerto, gratuitamente o con partecipazione alla spesa secondo gli orientamenti regionali, dal servizio pubblico presso le Aziende Sanitarie Locali.